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Danza è arte, ma può diventare un lavoro?

 

Chi gode di musica e teatro è affascinato anche dall’arte della danza, nata per essere portata nello spettacolo dal vivo. La danza però purtroppo viene additata come arte secondaria e il nostro paese non è utile allo sviluppo di quest’arte. 

 

Affermarsi nel mondo della danza

“Cosa fai nella vita?”
“Insegno danza/sono un/a ballerino/a”,
“No, intendo che lavoro fai?” 

Quante volte a ballerini o insegnanti di danza è stata posta questa domanda? Si potrebbe dire che un ballerino professionista è qualcuno con una certa qualifica, ma purtroppo, almeno in Italia, questo criterio è difficilmente applicabile; non ci sono corsi di laurea e nessuna iscrizione professionale di ballerini/e. Proprio per questo, per le persone che non conoscono la fatica, la passione e la dedizione totale che la danza richiede, non si tratta di una professione, ma di un passatempo e in quanto tale, non è necessario che sia pagato ed è assolutamente trascurabile.

Niente potrebbe essere più lontano dalla verità della danza di questa credenza superficiale e ignorante. Infatti,a causa della mancanza di istituzionalizzazione, durante audizioni o simili, il curriculum di un ballerino funge più da «vetrina» dell’artista nei confronti del pubblico. Sebbene ci siano differenze tra i professionisti, il legame tra carriera e identità nelle arti è sempre stato molto forte; ovvero per essere un ballerino, bisogna dimostrare la propria identità e la dedizione alla propria causa, poiché questo è il proprio segno distintivo, come proposto dalla comunità tersicorea.  

Parole chiavi: vocazione e determinazione 

Oltre alla vocazione, un altro grosso tassello dell’identità di chi balla per professione, dunque anche di aspirante tale, è costituito dalla necessità di danzare. Entrare a far parte di questo mondo, talvolta può portare una sorta di fragilità emotiva anche per la pressione sociale e per tutti i pregiudizi che purtroppo ancora esistono, quindi tutte le caratteristiche che la danza richiede, ovvero, consapevolezza, determinazione, dedizione e disciplina ferrea sono necessarie per un ballerino, e soprattutto, implicano coraggio.

Innamorarsi di un soggetto che ti spinge oltre i propri limiti non è così scontato, espone ogni imperfezione e vulnerabilità fisica ed emotiva. I danzatori superano la paura di esprimersi attraverso la loro arte, cimentandosi con nuove coreografie, passi e creazioni. Realizzare l’irraggiungibilità della perfezione è un’altra prova di coraggio. Riconoscere la necessità e l’importanza del fallimento, imparare a rialzarsi mantenendo entusiasmo e passione e seguire un percorso diverso e spesso incomprensibile rispetto a chi non conosce la danza, sono atti che richiedono perseveranza e determinazione. Essere artisti, infatti, significa avere il coraggio di sentirsi liberi e di identificarsi con ciò che si crea. Significa esporre te stesso e il tuo lavoro al pubblico, sottoporre la tua arte al giudizio degli altri.

Per far respirare ancora di più quest’arte ho intervistato Mariana Cerino Calazans, ballerina contemporanea che ha partecipato alla cerimonia inaugurale dei mondiali in Qatar.

 

Nome, età, luogo di nascita?


Mariana Cerino Calazans, 32, Rio de Janeiro, Brasile.

 

So che hai partecipato alla cerimonia dei mondiali in Qatar, com’è stata questa esperienza e cosa ti porterai dentro?


È stata un’esperienza magica, difficile da descrivere poiché unica. Abbiamo fatto circa 15 giorni di prove con un team misto, cioè, di nazionalità diversa, stile e concezione di danza diversi, quindi ci si aiutava molto a vicenda. La cerimonia stessa è stata una delle emozioni più forti che abbia mai vissuto, un livello di emozione spaziale, ma anche molta concentrazione. Quello che rimarrà dentro di me sarà un’affermazione di fiducia in me stessa, nel senso di sapere che sono versatile come danzatrice. Oltre questo, non potrò mai dimenticare il livello di dedizione e cura nei dettagli dalla parte di tutti i professionisti coinvolti, ho potuto osservare questo grande macchinario e rendermi conto di quanto l’arte sia un lavoro collettivo. Non si fa niente da soli, davvero.  

Qual è la tua formazione artistica?


Ho studiato danza classica dai 5 anni fino ai 19. Mi sono poi interessata alla danza contemporanea perché mi sembrava più libera come espressione. Ho iniziato a studiare con alcuni maestri a Rio e poi ha fatto parte di una giovane compagnia per 5 anni. Sono venuta in Europa alcune volte per brevi periodi per studiare. Bruxelles è stato un destino frequente. Ho partecipato ad un summer intensive alla P.A.R.T.S, una delle scuole più rinomate al mondo e ho girato un po’ anche negli altri centri di danza lì, Danscentrum Jette, La Raffinerie, Tic Tac Art Centre. Dopodiché mi sono trasferita in Italia per poter studiare in maniera più stabile. Ho frequentato il percorso Art Factory International e poi, a Catania, il ModemPro, a Scenario Pubblico.

Mi rendo conto che la mia formazione di danza contemporanea non è stata la più tradizionale, nel senso che non ho frequentato una sola formazione di 3 anni che mi rilasciasse un certificato. Sono stata più alternativa, più autonoma, rimanendo aperta, curiosa, andando in giro a studiare e assorbendo tutto ciò che mi era ed è utile e interessante ma contemporaneamente sviluppando un filtro che mi aiutasse a capire cosa veramente mi piace.

In che modo sei riuscita ad affermarti in questo mondo?


Guarda, onestamente questa domanda mi fa sorridere un po’. Perché non direi che mi sento proprio “affermata”. Se dovessi dire qualcosa però, penso che si debba essere sicuri di quello che si fa e questo avviene con l’esperienza e la pratica. Certamente, l’affermazione professionale c’entra anche con lo sguardo dell’altro. Ovvero, che i tuoi pari, gli altri danzatori e danzatrici, gli altri artisti ti riconoscano come tale. Al di sotto di questo riconoscimento bisogna studiare molto e sempre, lavorare senza pregiudizi di con chi e cosa per poter fare esperienza e fare networking. Questo, forse, sono gli ingredienti più fondamentali per affermarsi.

La pressione sociale ti ha influenzato nel corso del tuo percorso?


Nel mio caso la pressione sociale è stata fortemente presente tramite la mia famiglia. La solita storia di vedere la danza come una cosa bella, sì, ma come un hobby, che “non ti porterà da nessuna parte”. Questa frase l’ho sentita mensilmente. Immagino che il mio percorso da danzatrice sarebbe stato tutt’altro se, invece, io avessi sentito mensilmente la frase “ti siamo di supporto, andrai molto lontano con la tua arte”. Ad oggi non ho comunque rancori. Dunque, direi che la pressione sociale ha influenzato tutto il mio percorso.

Credi che il giudizio altrui possa comunque far emergere dei problemi in un percorso di crescita lavorativa?


Lo sguardo dell’altro è un’arma a doppio taglio: necessario, in quanto fonte di riconoscimento artistico da un lato, ma dall’altro può essere anche scoraggiante, ci può dire che non siamo mai abbastanza e farci mettere in paragone in modi non stimolanti. Vedo che ci sono movimenti di nuove generazioni che cercano di parlare più apertamente di problemi di questo genere nella danza.

In che modo sei riuscita ad affrontare le critiche e i giudizi altrui?


Ovviamente ci sono stati periodi o occasioni in cui aver sentito qualcosa mi ha buttato giù, mi ha fatto sentire sola. Ma essere sola ti permette anche di eliminare il rumore e riflettere più profondamente, magari capire che cosa nel giudizio altrui sia legittimo o no, su cosa vale la pena investire energia o no. È sempre stato difficile…

Sappiamo che molte persone sono un po’ restie a quest’arte, perché secondo te?


Credo che la danza, contemporanea soprattutto, possa essere un’arte di difficile lettura e interpretazione, e la maggior parte del pubblico è abituata a necessariamente “concludere” qualcosa quando va a vedere un spettacolo. Se è così, è solo una questione di educazione. Ma immagino che ti riferisca anche a delle persone che non ritengono che la danza sia un’arte “vera” come la pittura, cioè, che la danza sia soltanto intrattenimento… e siamo sempre lì, un problema di educazione.

Ti va di approfondire il concetto di “educazione”?


Di solito quando si insegna l’arte si insegna in realtà, la storia dell’arte. Cioè, i movimenti, gli artisti, i periodi. Non esiste una vera e propria formazione, ma possiamo educare e preparare le persone ad assistere ad uno spettacolo, a guardarlo e farlo arrivare e percepire come se fosse un’opera d’arte.

Pensi ci sia poca informazione sulla danza?


La danza secondo me è la “cugina povera” delle arti, come si suol dire in Brasile. Voglio dire, ha meno risorse, è vista spesso come background per altro. Fra le arti più tradizionali credo sia la meno studiata e poi risulta che la danza ha difficoltà di pubblico o che mancano gli strumenti per essere spettatori di una performance di danza.

Cosa consigli a chi vuole far diventare questa passione un lavoro?


Non so se sono in una posizione di dare consigli a chi vuole diventare professionale, so che sicuramente ci vuole molta dedizione, una formazione il più a 360°possibile, che ti prepari per il palco ma anche su tutto ciò che accade attorno (luce, musica, costume, networking, scrittura, etc).

Un altro aspetto importante oggi, piacendo o no, è che i danzatori spesso non devono solo dare il meglio di sé dentro la sala prove ma devono anche saper “vendere” o “gestire” il loro profilo sui social. Cioè, diventano curatori di sé stessi. Se, ad esempio, uno lavora con danza commerciale, questo aspetto è fondamentale a cui fare attenzione.

In questo periodo quali sono i tuoi progetti lavorativi?


Io lavoro regolarmente insegnando danza classica e danza contemporanea e curando tutta la parte di danza a Spazio Oscena, un’associazione di cui faccio parte a Catania.

In programma ci sono progetti futuri?


Per il 2023 i piani sono di rendermi più autonoma dal punto di vista burocratico per poter accedere a certi bandi e call e sviluppare un mio nuovo progetto, sempre dentro la ricerca che porto avanti da molti anni ormai, sulla scrittura e il movimento. Questa volta la mia idea si incentra sulla figura mitologica di Penelope. E, ovviamente, continuare a studiare seguendo dei corsi e delle coreografe che mi interessano.

Molto interessante l’idea di unire la figura mitologica di Penelope alla danza, vuoi parlarci di più di questo progetto?


Questo progetto è ancora agli inizi, quindi ancora non ho molto da dire. Parte dalla figura di Penelope collegata a quella di Ulisse, dove procederà un’indagine sul rapporto di coppia, come un dispositivo sociale al passo coi tempi. Poi mi piacerebbe molto anche riflettere sul corpo in attesa; sono ancora alla fase di scrittura, non sono andata in sale per studiare la parte fisica, ma lo farò presto!

 

by Mariagrazia Celona 

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