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Vale di più un’opera d’arte o il nostro futuro?

Vale di più un’opera d’arte o il nostro futuro?

Prima Botticelli, Picasso, Monet, Goya e adesso anche Vincent Van Gogh. Gli attivisti – del movimento Just Stop Oil continuano a colpire e imbrattare con barattoli di zuppa capolavori della storia dell’arte, custoditi in musei o esposti in mostre temporanee. Questo tipo di protesta negli ultimi mesi sta diventando più comune, ed è stato messo in atto da diversi ambientalisti in tutta Europa. Il motivo? 

“Cosa vale di più, l’arte o la vita? Vale più del cibo? Più della giustizia? Sei più preoccupato per la protezione di un dipinto o per la protezione del nostro pianeta e delle persone? Il gas non è alla portata di milioni di famiglie al freddo e affamate. Non possono nemmeno permettersi di scaldare una lattina di zuppa.”

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Siamo sicuri che gli attivisti siano una minaccia?

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Recentemente si sono susseguite numerose proteste da parte degli attivisti della Generazione Z che continuano attraverso le loro lotte a scagliarsi contro la società. 

In particolare, in molti si sono chiesti se tali proteste siano effettivamente utili nell’aiutare gli attivisti a sostenere le loro cause. Questa domanda riappare ogni qualvolta viene organizzata un’iniziativa simile, soprattutto perché sia Internet che i social network permettono di far girare in rete foto e video di queste manifestazioni che vengono riprese da migliaia di persone. Tuttavia, nei video che girano sul web possiamo notare il gesto che svolgono gli attivisti, ma in seguito il movimento ha dichiarato che, prima di lanciare la zuppa, loro si assicurano sempre che l’opera sia protetta dal vetro così da non arrecarle danni permanenti.

Nonostante fosse chiaro che il dipinto non avesse subito danni, le critiche continuavano a girare nel web, perché in molti sostenevano che imbrattare un’opera d’arte non fosse il modo giusto per preservare l’ambiente dai cambiamenti climatici. 

Perché gli attivisti usano le opere d’arte nei musei per attirare l’attenzione?

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Il motivo per cui gli attivisti si scagliano contro le opere d’arte è perché essi hanno capito che l’arte rappresenta un nervo scoperto dal momento che parla di noi, della nostra storia e del significato dell’umanità, si sente minacciato ogni qualvolta è sotto attacco.  

È proprio questo quello che gli attivisti vogliono far capire: “siamo sotto attacco, c’è una minaccia ben più grande. Non dovremmo avere molta più paura del climate change? Quando miliardi di persone soffrono e rischiano la vita, a che serve l’arte? Quando prendi di mira l’arte forzi un cambiamento di prospettiva: Cosa conta davvero per te? La risposta più semplice: tutti noi vogliamo che i nostri figli vivano”, spiega uno degli attivisti del movimento Just Stop Oil.

Di base le azioni che svolgono gli attivisti suscitano tanto clamore perché essi stessi sono disposti a pagare di persona per i loro gesti, rispondendone penalmente, ed è proprio questo che gli dà la forza di continuare a svolgere le loro azioni. Fondamentalmente gli attivisti sfruttano un vecchio attrezzo artistico, ovvero, lo scandalo. Suscitare scandali era la specialità dell’avanguardia del Novecento. 

Perché il “Seminatore al tramonto” di Van Gogh?

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A Palazzo Bonaparte di Roma, è stata presa di mira da un gruppo di attivisti l’opera di uno dei più grandi artisti della storia, Vincent Van Gogh, l’opera di cui stiamo parlando è il “Seminatore al tramonto”. Il gruppo si è disposto di fronte alla teca in cui era esposto il quadro ed ha gettato una zuppa di piselli su di esso, fortunatamente senza recare alcun danno.

Di base non è una casualità se gli attivisti hanno scelto questa opera, perché nel dipinto c’è la casa di un contadino che rappresenta il diritto di abitare stabilmente nella natura. Secondo un report dell’Onu ci sarà un drastico calo dell’agricoltura mondiale prima del 2050 e oltre 200 milioni di persone vivranno scarsità idrica in Africa entro i prossimi 7 anni: si stima che questo causerà lo sfollamento di almeno 700 milioni di persone. Si tratta della più grande catastrofe umanitaria di sempre. Ed è soltanto l’inizio. 

Tuttavia, il gruppo “Ultima generazione” ha fatto sapere: “Tutto ciò che avremmo il diritto di vedere nel nostro presente e nel nostro futuro sta venendo oscurato da una catastrofe reale e imminente, così come questa passata di piselli ha coperto il lavoro nei campi (quindi la possibilità di sicurezza alimentare), la casa del contadino (quindi il diritto a non essere costretti a migrare), l’energia sprigionata in tutta la scena dal sole (quindi l’investimento necessario in una giusta transizione energetica)”. 

Lo scopo di tale gesto non riguarda il “vandalismo” ma “un grido disperato di paura”, giustificati dagli allarmi alzati da decenni dalla scienza. Non vandalismo violento, ma una richiesta di stop al gas e al carbone e di un deciso investimento nelle rinnovabili. Lo stesso gruppo di attivisti in una nota, riporta le loro richieste: “Interrompere immediatamente la riapertura delle centrali a carbone dismesse e cancellare il progetto di nuove trivellazioni per la ricerca ed estrazione di gas naturale; procedere a un incremento di energia solare ed eolica di almeno 20 GW nell’anno corrente, e creare migliaia di nuovi posti di lavoro nell’energia rinnovabile, aiutando gli operai dell’industria fossile a trovare impiego in mansioni più sostenibili”.

Protocolli di sicurezza o dialogo produttivo? Questo è il dilemma

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Come detto in precedenza, negli ultimi mesi si sono susseguiti diversi episodi di protesta all’interno dei più importanti musei. Nonostante i musei abbiano standard di sicurezza e protocolli che seguono alla lettera, si sono trovati davanti a proteste inaspettate.

Di base tutti pensiamo che gli autori di tali gesti mettano in pericolo il patrimonio culturale, per difendere cause nobili come il cambiamento climatico, l’inquinamento, ma in realtà non è vero, perché prima di svolgere il gesto si accertano che l’opera sia protetta da un vetro.

È giusto che i musei stiano valutando diverse modalità di conservazione e di protezione delle opere a livello internazionale, ma quello che in primis i musei potrebbero fare è iniziare a sfruttare il grido d’aiuto degli attivisti come un’opportunità per stabilire un dialogo produttivo con i musei internazionali, così da trovare un compromesso ma, soprattutto, sia una possibilità non solo per preservare l’arte e i beni culturali ma anche le generazioni future.

by Federica Sciacca

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